Cosa ci potrebbe essere dopo la peggior sconfitta della storia Repubblicana del centro-sinistra in Italia? La peggior sconfitta della Storia Repubblicana con il maggior astensionismo di sempre nelle elezioni politiche. La sintesi brutale degli ultimi 5 anni sta tutta qui. Il 4 marzo 2018 apre la parentesi. Il 25 settembre 2022 (forse) la chiude.
Agli errori dei cinque anni precedenti, quelli del renzismo rampante, per darci un’idea, si sussegue una legislatura in cui si riesce a fare persino peggio. Dove ci sono le idee, non c’è uno straccio di organizzazione. Dove ci sarebbe il partito, si parla solamente di come gestire il potere. Quando si incontra qualche persona di buona volontà si trova il modo per ostacolarla. Carte mischiate ogni tre per due. Alleanze variabili. Porte girevoli. Colpi di scena come in una soap sudamericana.
Al di là di questi problemi che per carità già rappresentano una questione non di poco conto, la sonora sconfitta deve portare tutte/i ad interrogarsi sulle questioni alla radice dell’agire politico: l’identità, rappresentanza e legame con il territorio. Se non è chiaro cosa vogliamo e chi vogliamo rappresentare la politica diventa un club di persone intente a raccontarsi storie e pensieri, a volte interessanti, a volte molto noiosi, tra loro. Il territorio banalmente deve essere il luogo di atterraggio dell’elaborazione politica ma anche il mezzo per il quale si raccolgono nuove sfide. Il campo della sfida non un orpello del novecento.
La risposta che è arrivata dal campo progressista è stata timida, vaga, difficilmente comunicabile ma soprattutto incapace di cogliere la realtà quotidiana. L’Italia è un Paese che da più di tre elezioni evidenzia un malcontento crescente verso chi ha responsabilità di Governo e in questi anni al Governo c’è stato quasi sempre il Partito Democratico. L’omologazione davanti all’incapacità di risolvere le problematiche ha generato rabbia e disillusione ma la responsabilità verso il Paese non vuol dire annullare le differenze politiche o essere garanti dello status quo, perché poi alla fine non c’è più nulla da difendere.
E’ un paese, il nostro, in cui in molte periferie delle città non si hanno i servizi essenziali, in cui le aree interne sono abbandonate al loro destino, in cui tante persone fanno davvero fatica ad andare avanti. Soprattutto al Sud. I risultati elettorali rispecchiano questa cartina.
Ognuno in questa parte di campo ha le proprie responsabilità, proporzionalmente al ruolo e alla capacità di incidere, ma per tutte e tutti deve cambiare l’approccio ai problemi delle cittadine e cittadini. Basta nicchie chiuse e comode, per parlare solo di ciò che più ci piace. I partiti in questi anni non hanno più cercato iscritti ma follower, dimenticando che i social sono un mezzo utile, se si sanno usare, ma non il fine. La sconfitta può essere una buona insegnante ma bisogna avere l’umiltà di voler apprendere. Sui temi economici, a mio avviso, la destra non avrà la forza e la volontà per toccare granché. Sui temi civili e ambientali bisognerà vigilare e mobilitarsi se sarà necessario.
La campana è suonata per tutte/i. Rifondare. Trovare altre strade, altri percorsi, altri modi di coinvolgere e rappresentare. Al Pd non basterà un semplice congresso per aggiustare il tiro o per trovare un altro segretario sacrificale. A Sinistra Italiana – Verdi non può banalmente bastare questo risultato. Il Movimento Cinque Stelle dovrà dimostrare con i fatti e nel tempo la sua posizione laburista e sociale. Altrimenti, come in un film circolare ci ritroveremo tra 5 anni in una situazione simile o leggermente peggiore di quella di oggi. Il percorso lo conosciamo.