Il problema della mia generazione e di molte di quelle precedenti è che siamo stati abituati da sempre a concentrarsi solamente sul finale delle storie e mai sull’importanza del percorso. Quasi mai il mondo che ci circonda ha riflettutto, con noi, sui come e sui perchè. Nello sport, nel mondo dell’istruzione, nella società, nel lavoro, nella politica. Vinci? Sei bravo. Perdi? Sei una nullità. Ti laurei in tempo? Sei bravo. Non lo fai, sei uno scansafatiche. Non riesci a svolgere le tue mansioni sul lavoro? La scuola non ti ha insegnato niente. Guadagni una miseria? La responsabilità è solo e soltanto la tua. Un meccanismo ipercompetitivo, in cui tutto quello che ci circonda non esiste. Sei solo contro un mondo. Una lotta per la sopravvivenza. Buona fortuna.
Come spesso accade nelle grandi competizioni sportive, anche senza volerlo, basta una frase semplice per portarci a riflettere un pò più a fondo sul nostro mondo. Per chi ne ha voglia e ne sente la necessità, of course.
Prendete quello che è successo a Benedetta Pilato. Nuotatrice. Classe 05. L’episodio è arcinoto: dopo la finale in cui si classifica quarta, la campionessa italiana si presenta ai microfoni emozionatissima, con un enorme sorriso e dice di essere felice. Anzi, va oltre, sostiene che è quello il più bel giorno della sua vita. Pensa evidentemente alla fatica fatta per lasciare Taranto, ai tanti sacrifici quotidiani, all’eliminazione dei quattro anni precedenti. Essere tra le migliori al mondo, aver nuotato splendidamente, oltre le sue aspettative, la rende felice. Elisa Di Francisca, ex campionessa olimpica nello schermo, in diretta, platealmente, accusa la nuotatrice con una frase tagliata con l’accetta: “Ma ci fa o ci è? – aveva detto – Assurdo, ma che ci è venuta a fare? Io rabbrividisco, dico solo questo“.
Si parla tanto di giovani ma si fa molto poco per essi e ancor meno si prova a comprenderli. La frase della Pilato ha spiazzato per la sua dirompente semplicità. Non capita quasi mai, in interviste che in molti casi diventano un copia- incolla retorico o stantio.
Quelle parole però devono restare incasellate in qualche angolo della nella nostra mente, perchè non possiamo permetterci di ragionare come se vivessimo in un immenso highlihts. Perchè è la somma dei momenti che ci porta ad un determinato punto od obiettivo. Il risultato finale è una conseguenza, da cui bisogna prendere qualche insegnamento, sia se si vince, sia se si perde. Traslando un pochino il discorso capiamo come diventano così importanti le condizioni di partenza, il garantire le stesse opportunità a tutte e tutti, il diritto di essere trattati per quello che si è e non per quello che qualcuno ci dice che dovremmo essere. Il coraggio di mettersi in gioco per quello in cui crediamo senza per questo motivo essere considerati dei perdenti o dei sognatori perchè fuori dalla realtà che qualcuno ha costruito anche per noi.
La Pilato, alcuni giorni dopo, in un’intervista rilascia un’altra frase bellissima:
Nessuno può dirmi per cosa gioire. Tutti abbiamo un percorso e non mi permetterei mai di parlare di chi ha un percorso che non conosco». «Non sono una che si accontenta, a nessuna piace perdere, ma quando arrivo quarta non posso chiedere di rifare la gara, accetto quello che viene. Io ho capito quello che valgo, per questo la mia contentezza nella mia intervista».
https://www.open.online/2024/08/03/olimpiadi-2024-parigi-benedetta-pilato-vs-di-francisca-lacrime-giovani-colpiti-episodi-simili/
Insomma quel discorso che ci porta direttamente al famoso dibattitto sul diritto alla felicità, personale ed intima ma anche sociale e collettiva, in quanto instricabilmente legata al contesto, ambientale, culturale, sociale in cui siamo immersi. Insomma, quando prendiamo delle decisioni, personali o politiche, nel senso di collettive, nel taschino queste frasi dovremmo sempre rileggerle, come un utile promemoria.
Grazie Bendetta per averci ricordato la lezione di un altro grande, Enzo Jannacci, che nella sua “Io e Te”, scriveva “la bellezza dei vent’anni è poter non dare retta a chi pretende di spiegarti l’avvenire e poi il lavoro e poi l’amore“