E così, in questo tempo che sembra sospeso ma sospeso non è, è arrivato anche il 1 maggio.
Ci avete fatto caso che in questa crisi i lavoratori definiti essenziali sono quelli che vengono più bistrattati e sottopagati? I rider, che dipendono da un algoritmo, i braccianti agricoli (ora qualcuno si è accorto del caporalato, ma buongiorno), i lavoratori della grande distribuzione, le piccole partite iva…
Se qualcuno prova a dire così non va, ti si risponde: guarda a chi sta peggio di te? Molti un lavoro non ce l’hanno e voi vi lamentate? La scala allora, scende per tutti verso il basso. In una spirale infernale.
Con questa crisi tanti precari che provavano a vedere un minimo spiraglio di normalità, sono rimpiombati nel buio dell’incertezza. Tanti giovani, anche laureati, che non avevano un lavoro rischiano ancor di più di restare fuori, per sempre, dal mercato del lavoro. Un lavoro frammentato, diviso che rispecchia la società atomistica costruita negli ultimi 30 anni. Al camminare tutti insieme, culturalmente si è contrapposto, ed ha vinto, l’uomo solo al comando: privatamente, politicamente e socialmente.
Se per caso alziamo lo sguardo verso i dati riguardanti i morti sul lavoro, il quadro diventa drammatico. Nell’indifferenza pressoché totale sono deceduti sul posto di lavoro dal primo gennaio 2020, 153 lavoratori, ai quali vanno aggiunti 344 lavoratori morti a causa del coronavirus.
Insomma non per essere catastrofista, sintetizzando: tanti non hanno un lavoro, molti che lavorano 8-10 ore al giorno riescono a malapena a sopravvivere, i morti sul lavoro non si contano più.
Un pensiero infine alle vittime di Portella della Ginestra, la prima strage di Mafia e di Stato in Italia era il primo maggio 1947
La regola è sempre la stessa: senza giustizia sociale non c’è democrazia. Senza un lavoro dignitoso, per tutte/i, non c’è giustizia sociale.
Buon 1 maggio, coraggio! Ne abbiamo bisogno.